Galleria Agrati
Mario da Corgeno alla Galleria Agrati
Pittore da scoprire
Un giovanissimo alla galleria Agrati, Mario da Corgeno, stato allievo prediletto di un maestro prestigioso, Annigoni. Di lui mostra d’aver ricevuto la disposizione classicheggiante nel delineare e nel disporre la figura, ma non questo soltanto. C’è anche, nell’artista, una scioltezza disegnata che se è una virtù naturale, risente, almeno in parte, della consuetudine e della frequenza ad operare con un così eccezionale maestro. Il giovane 25enne, infatti, trascorse più di due anni a Firenze con Pietro Annigoni, collaborando con lui anche agli affreschi di alcune chiese.
Certo che la mostra, se è indicativa di un’abilità tecnica e come d’un mestiere consumato non dice con sufficiente probabilità e chiarezza circa gli eventuali destini dell’arte di Mario. E prima di tutto si ricava una notizia: che l’artista è, sostanzialmente, intento ai valori plastici. Per quanto nella rassegna sia presente un unico pezzo scelto, si può dire che Mario da Corgeno scolpisce d’istinto anche quando disegna o dipinge. Il risalto formale della figura pare che sia in lui il tratto più notabile. Sembra, invece, incerta la tematica. E cioè, qualunque sia chiaro che l’artista vuol rappresentare l’uomo che lotta a vivere, questa sua proiezione drammatica rimane più in una zona retorica, delle cose dette e sognate che delle cose vissute. E sempre, in sostanza, che un simile tema esiga una maggior frequenza di approdi fantastici e anche una temperatura morale più calda, magari meno straziata, certamente più prossima a certe zone malinconiche, all’intimità riflessiva più che al gesto. Ma queste note sono provvisorie e improvvisate un pò come lo è la rassegna medesima, che non da conto di troppe opere dell’artista, magari più indicative di queste. E a chi lo osserva negli studi, nei disegna abbozzati ad appunto, può anche sembrare che Mario da Corgeno sia provveduto di un altra anima, più duttile, più trasognata, più disposta all’avventura. E’ un andare più sciolto questo suo, dove risente meno della scuola e dell’Accademia e forse è più vicino a se stesso.
La provvisorietà del segno sembra indice di certi umori inespressi, rimasti in una zona assai vaga, e perciò di una tematica in via di frasi, d’un’attenzione ai valori intimi e più propriamente fantastici di contro alla fermezza immobile e plastica delle cose risolte. Dove la tensione drammatica ha certamente i suoi slanci e le sue compressioni dolenti: ma l’aggancio che l’artista va cercando verso il grandioso, ha più sapore d’approdo verso una forma che di testimonianza inverata e radicata in una cronaca d’uomo.