Adriano Gajoni
Adriano Gajoni
Gli insegnamenti di Adriano Gajoni
Ci incamminammo verso la stazione; la mia maestra era così entusiasta di questo incontro. Prendemmo il treno da Vergiate e dopo circa un’ora di viaggio arrivammo a Milano. Percorsa qualche via, ci trovammo di fronte alla porta di Adriano Gajoni; non sapevo cosa aspettarmi, ma sicuramente la curiosità e l’emozione mi invadevano mente e corpo. Il Maestro ci fece cenno d’entrare e, una volta varcata la soglia, ci ritrovammo in un mondo speciale, che ogni artista sogna per sé.
Chiese di vedere i miei disegni; li sfogliò e guardò attentamente. Vidi sul suo viso concentrato un barlume di curiosità forse per i tratti e per le linee. Lo osservai lì seduto a studiare i miei lavori, mentre dentro di me, nell’attesa di un suo giudizio, sentivo come se il tempo non passasse più. Improvvisamente alzò gli occhi verso la mia Maestra; la guardò accennando un leggero sorriso sulle labbra, come se sapesse già cosa ne sarebbe stato di me in futuro, come se avesse previsto già qualcosa. Infine appagò la nostra curiosità:
“Questo ragazzo è dentro un guscio di un uovo; se lo apro, usciranno fuori tutte le sue qualità”.
Poi rivolse la sua attenzione a me; mi guardò e sorrise:
“Se mi dai il permesso, Mario, ti apro per far venire alla luce tutti i tuoi doni”.
Onorato davanti a quelle parole e pieno d’emozione, non potevo far altro che dire:
“Si”.
E lui: “Ok, vieni subito da me”.
E così feci. Quando arrivai a casa, presi le mie cose e mi feci coraggio; sapevo che finalmente ora avevo la possibilità di esprimere me stesso. Affrontai le mie paure per questa grande città sconosciuta che tanto mi spaventava; infondo io ero un semplice ragazzo nato e cresciuto in un paesino tra i laghi e le verdi montagne, che amava stare in solitaria e che passava le sue giornate a vivere di cose semplici.
Quel giorno qualcosa era cambiato; sentivo che quello era un nuovo percorso di vita e che mi avrebbe accompagnato nel mondo dell’arte. Era il primo giorno accanto al mio Maestro, parlammo a lungo di tutto e mi sentivo a mio agio. Il Maestro mi diede un volume sull’arte da studiare e mi disse:
“Mario, dovrai staccarti un po’ dai tuoi affetti famigliari, perché questi potrebbero impedire la tua totale disponibilità verso l’arte”, fece una piccola pausa per osservare la mia reazione e aggiunse: “Se ti impegnerai profondamente, porterai fuori tutto te stesso e i tuoi doni prenderanno vita”.
Ero rapito dalle parole del Maestro Gajoni, totalmente trasportato, incantato dai suoi discorsi e dai suoi insegnamenti. Sentivo che davanti a me si stava aprendo un mondo affascinante, un mondo nel quale il vero Mario avrebbe potuto comunicare attraverso nuovi strumenti ed esprimersi.
Portai il mio Gesù sempre con me: mi dava forza e sicurezza, ed entrambe le cose creavano in me un connubio perfetto. Frequentando costantemente il mio nuovo Maestro, mi ritrovai almeno cinquant’anni più avanti rispetto a quando avevo iniziato. Una mattina entrai come mio solito nello studio e il Maestro mi disse:
“È giunto il momento che tu affronti la figura, conoscerne l’espressione e la sua bellezza. Sappi che domani verrà qui una modella a posare; non farmi lo scherzo di non venire, altrimenti vengo io a prenderti”.
Quella sera meditai a lungo sulle sue parole ed ero preoccupato per la realtà che avrei dovuto affrontare il giorno successivo. Avevo avuto un’educazione molto pudica dove ogni cosa era legata ad un peccato; mi chiedevo cosa fosse effettivamente un “peccato” e allo stesso tempo pensai all’indomani, alla paura di poter rovinare la bellezza e la purezza dei miei sentimenti. “Cosa mi capiterà?”.
Arrivato allo studio, il Maestro Gajoni mi sentì dietro la porta e mi chiamò: “Mario, vieni qui”.
Non mi sentivo pronto per questa nuova esperienza e l’ansia mi aveva tenuto sveglio tutta la notte. Sentivo i battiti accelerati del mio cuore, ma non potevo tirarmi indietro. Presi tra le mani la maniglia della porta, la aprii e vidi una ragazza in procinto di spogliarsi. Alzai subito gli occhi verso il soffitto allontanando la sguardo da lei e pensai in ansia: “Non posso guardare, altrimenti me ne vado dritto all’inferno”.
Sentii il mio Maestro urlarmi: “Stai attento bene!”. Mi sentivo in un vortice di pensieri. Abbassai lo sguardo e vidi il corpo della fanciulla completamente nudo; la vista mi si appannò, le mani iniziarono a sudare e all’improvviso caddi svenuto sul pavimento. Quando riaprii gli occhi il senso di colpa mi divorò. Avevo perso anche la parola, non riuscivo a parlare, non volevo parlare. Davanti a questa scena il mio Maestro rideva a crepapelle:
“Non preoccuparti, è l’effetto della prima volta, poi ti passerà”.
Quella sera tornando a casa, mi recai in stazione per salire sul solito treno e vidi il capotreno con la paletta alzata a fare cenno di partire. Ancora stordito dall’esperienza di quella mattina, corsi e salii al volo nell’ultima carrozza per paura di perdere l’ultima corsa, ma c’era qualcosa di strano, non mi sentivo sicuro.
Vidi un uomo seduto intento a leggere il giornale, così avvolto da una strana sensazione mi avvicinai a lui e gli domandai: “Mi scusi, questo è il treno per Domodossola?”. Il signore alzò gli occhi dalle pagine e osservandomi perplesso mi rispose: “No, questo è il treno che va a Torino”. Sgranai gli occhi e sentii la mia pelle impallidire. Pensai tra me: “Ora come faccio a tornare a casa?”.
In quell’istante mi passò un pensiero per la testa: gli indiani e i cowboy. Così non ci pensai un attimo in più; aprii di corsa lo sportello del vagone su cui mi ero precipitato poco prima e mi lanciai dal treno. Caddi a terra rotolando nella ghiaia, mi rialzai carico di energia e cominciai a correre lungo i binari in direzione della stazione.
Riuscii a prendere l’ultimo treno delle dieci e stavolta era quello giusto.
Era quasi mezzanotte quando arrivai a casa; vidi mia madre che era in pensiero per me. Ero letteralmente sconvolto dalla giornata: da quell’eclatante esperienza trascorsa nello studio, dal treno sbagliato, dal adrenalina del salto che avevo fatto come fossi stato un cowboy e per la lunga volata in bicicletta verso casa che avevo appena fatto al buio attraversando i boschi.
Una giornata che davvero non avrei mai dimenticato.
Non sono permessi commenti