Pietro Annigoni
Pietro Annigoni
Aria di cambiamento, Firenze e Pietro Annigoni
Vissi per due anni accanto al mio grande Maestro Gajoni: due anni di insegnamenti e obiettivi raggiunti. Una mattina in studio, vidi il Maestro avvicinarsi a me con le lacrime agli occhi: “Mario, sono contento del risultato ottenuto. Io ti ho aperto e ho sgrossato le qualità. Ho tanta stima per quello che hai dimostrato, ma adesso ti dico: vai a Firenze, dal mio amico Annigoni. Abbiamo studiato insieme, lui perfezionerà le tue doti”.
E così, dopo un riposo di due giorni, per la seconda volta, presi le mie cose ed andai in un’altra città: Firenze.
Entrato nello studio che mi era stato indicato, mi trovai di fronte a una montagna, il grande Annigoni e, come successe qualche anno prima con il mio primo Maestro, mi chiese: “Fammi vedere un tuo lavoro”. Osservò per un attimo quello che gli avevo portato e poi, parlando ad un suo amico, disse: “Questo è matto, me lo tengo qui”.
Inutile descrivere la forte emozione che provai in quel momento. Successivamente a questo incontro positivo, carico di entusiasmo ed onorato per la grande possibilità, rimasi ovviamente a Firenze. Il Maestro mi indicò un posto dove poter stare e vivere tranquillo; mi disse di recarmi da Padre Michelangelo, dai frati della gioventù francescana di Montughi.
Iniziò così la mia avventura con il Maestro Pietro Annigoni.
Padre Michelangelo mi accolse con tanto amore e mi offrì un posto per dormire. Il giorno successivo, colmo di emozioni, entrai nello studio in punta di piedi; il Maestro era felice di vedermi lì con lui. Iniziai così ad entrare nel mondo dell’arte fine. Annigoni era un uomo molto serio ed io ero affamato di sapere; mi mostrò come creare i colori che utilizzava, preparati con tuorli di uova macinati con polveri, poi mi disse di disegnare.
Emerse così la mia profonda esigenza di sapere.
Mi tremava il cuore dall’emozione, quanti segreti e trucchi del mestiere! Giorno dopo giorno mi insegnava cose sempre nuove ed io accoglievo tutto con gran entusiasmo, avvicinandomi alla bellezza sempre di più, attimo dopo attimo. Non mangiavo molto: a mezzogiorno una mela e a cena una pera. Gestendomi così i pasti giornalieri riuscii a cavarmela con le mie ridotte possibilità economiche e senza dare troppo nell’occhio.
Padre Michelangelo mi insegnò il potere dell’amore prendendo come esempio San Francesco: in questo modo ho conosciuto il mondo francescano, quale mi ha aiutato a spogliarmi dell’inutile e a dedicarmi totalmente all’arte.
Quando la tua passione fa parte del tuo quotidiano, non puoi far altro che ringraziare te stesso, le tue scelte, il tuo amore e la tua determinazione. Così ogni mattina tornavo dal Maestro pieno d’amore e bisogno di sapere.
Un giorno venne da me e mi chiese: “Sei già stato agli Uffizi? No? Bene, domani andiamo insieme”.
Spesso mi capitava che, prima di andare dal Maestro Annigoni, passassi per il Duomo di Firenze per ammirare la Pietà di Michelangelo.
Il giorno dopo, il Maestro mi accompagnò agli Uffizi e, cosa molto strana, si fermò all’ingresso. Notando il mio sguardo perplesso, mi disse: “Mario, vai da solo a vedere le opere”.
In quell’istante la richiesta mi incuriosì, ma feci come mi aveva detto: entrai ed iniziai il percorso. Circondato da tanti bellissimi quadri, passai oltre senza mai fermarmi, come se non avessero molto da insegnarmi. La mia attenzione venne infine rapita da uno dei dipinti: mi trovavo davanti al Tondo Doni di Michelangelo e mi sentivo completamente incantato davanti a cotanta bellezza.
Una voce dietro di me mi chiese: “E le altre opere, perché le hai guardate di sfuggita?”
Non risposi, rimasi immobile, assorto in silenzio a contemplare quel dipinto splendido. Una mano si posò sulla mia spalla con un tatto quasi paterno: “Il tuo Maestro è Michelangelo, non io”.
Rimasi stupito dalla grande umiltà contenuta in quella frase. Cercai a lungo di capire perché il mio Maestro avesse voluto accompagnarmi agli Uffizi e giunsi alla conclusione che, probabilmente, il suo intendo era quello di capirmi profondamente.
Il rapporto fra me e il mio Maestro continuò a crescere tra la gratificazione e l’ammirazione che avevo per lui e il bene che lui voleva a me. Mi chiamava Mario Bruum perché, quando sono sopraffatto dall’emozione e non riesco ad esprimermi, semplifico tutto in un “Bruum”.
Un giorno in studio mi arrivò una delle proposte più grandi ed interessanti mai ricevute:
“Mario, verresti con me a Londra? Io là ho uno studio dove ti puoi fermare”, mi chiese il Maestro.
Mi resi conto che un’occasione del genere non mi sarebbe mai più capitata, ma io avevo un solo desiderio e così risposi: “No. Io torno a Corgeno”.
Lui mi guardò contrariato: “Cosa ci fai a Corgeno? È un paesino di trecento abitanti! Tu sei matto! Vai a rovinarti!”.
Sapevo che il Maestro ci teneva particolarmente a me, che mi voleva bene e che desiderava per me un buon futuro, ma lui mi vedeva proiettato in un mondo che in realtà non mi apparteneva. Avevo bisogno di sentirmi libero di esprimere me stesso e temevo che, se avessi intrapreso questo nuovo percorso, mi sarei perso e non sarei più stato in grado di trovare la parte più integra di me. Nei miei programmi avrei voluto prolungare la mia permanenza a Firenze ed ero convinto che, per il bene e la stima reciproca che c’era fra di noi, non mi avrebbe lasciato andare via.
Erano passati due anni da quando mi ero stabilito a Firenze; era una domenica mattina e quel giorno il Maestro mi portò a Viareggio con dei suoi amici. Eravamo seduti a tavola e la sua proposta di andare via lontano dall’Italia mi agitava e tormentava, sentii così il bisogno urgente di dover tornare a casa. Non sapevo il motivo, ma sentivo che quello era il momento perfetto per uscire di scena. Mi alzai ed allontanandomi varcai la porta, poi mi diressi in stazione per prendere il treno.
Lo chiamai: “Signor Maestro, sto tornando a casa. Ho bisogno del mio mondo che mi aspetta”.
Lui incredulo mi rispose esclamando: “Torna subito!”
Passarono due anni quando tornai a trovare il mio Maestro facendogli una sorpresa. Avevo preparato una mostra e l‘avevo dedicata interamente a lui. Entusiasta gli consegnai una busta con l’invito e, aprendola, non ci trovò scritto nulla. “Mario, che cos’è questa roba qua?!”, mi chiese perplesso.
Che figuraccia! Colpa della tipografia! Rimediai subito comunicandogli personalmente l’indirizzo.
Ero alla mostra quando lo vidi entrare; osservai emozionato lo stupore nei suoi occhi davanti ai miei lavori. Ho potuto così ringraziare il mio Maestro e Padre Michelangelo.
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