L’Attesa

L’Attesa

E’ notte,
e già torna il silenzio
nelle strade e nelle vie del paese,
ormai tutto è deserto,
è già ora tarda.

Qua e là
si odono dei rumori di foglie secche
mosse da un pò d’aria
umida e fredda,
è autunno.


sul margine della strada
vicino a un cespuglio,
illuminato appena, appena
da un piccolo raggio di luce di un lampione,
si scorgono due piccoli fari gialli
che si perdono nel buio,
è un gatto,
un gatto che attende immobile e paziente la preda desiderata.

Ma là
nell’oscura via
c’è un lume ancora acceso
che vibra col muoversi dei rami
nel silenzio della notte.


c’è una mamma
con un’anima umile e mesta
tenendo nel grembo un gattino
addormentatosi col tiepido calore.

Seduta, accanto a un fuocherello
è appesa una pentola con la zuppa
per la cena.
Là,
nel tiepido candor delle fiammelle
che la circondano e illuminano il suo volto.
sofferente e malinconico,
pieno d’angoscia.

Tra le fusa del gatto
e il vapore della pentola
ella attende,
attende invano
il ritorno del marito.

Lui senza alcun pensiero
e amor della famiglia.
là!
rimane con la compagnia,
bevono, si ubriacano
spendono i miseri guadagni
e la mente e il pensiero di padre
svanisce nell’alcool
e nell’allegria della compagnia.

L’ora si fa sempre più tarda
ma nessuno, nessuno arriva
or già la campana suona la mezzanotte
il cuore di mamma si irrigidisce
tremando quasi dalla paura,
ma lei attende,
attende con ansia
il ritorno del marito.

Chissà come tornerà?
Ubriaco, sbronzo dall’alcool e dal fumo?
Ad un tratto un rumore,
si sentono dei passi,
sarà lui? Forse!

Prende il gattino
E lo pone adagio, adagio
ancora addormentato
sulla soglia del camino,
e avviandosi alla porta
la apre adagio, adagio
tremando dalla gioia
per vedere se è lui.
E’ lui, è lui finalmente.

Esaurite le forze dalla grande attesa
esclama: appoggiando la mano tremante
alla porta semichiusa,
sei arrivato, era ora.

E lui tranquillo, tranquillo
si avvicina dondolando
alzando le braccia
dicendo con voce roca:
Elvira, Dio felice,
sa ghe, sun rivà, no!
Dio felice,
a le prunt al mangià,
a le da in cö, che ho inmò nanca
da tastà nagot, Dio felice.

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